la grande Peste
La grande peste del 1656
A Napoli nel popoloso rione del Lavinaio si verificarono le prime morti all'inizio di maggio 1656; queste furono giudicate strane perché fuori del comune sia per età, sia per numero, sia per modalità. Il rione Lavinaio a Napoli era la parte più bassa della città e sorgeva nei pressi del porto. La peste arrivò a Napoli dalle navi provenienti dalla Sardegna. Prima che si pensasse a mettere in piedi un minimo di organizzazione assistenziale, si precipitò nel caos più assoluto. La situazione divenne incontenibile, ma pur tuttavia la epidemia fu fronteggiata anche se a prezzo di 250.000 morti in una città che ne contava circa 450.000.
Nella periferia contadina del regno fu una vera strage con una mortalità che raggiunse il 50%-60% della popolazione. Per avere un quadro della devastazione che la peste feroce del 1656 provocò nel regno di Napoli basta confrontare il numero degli abitanti relativi all'anno 1648 con quello dell'anno 1669; i dati di questi due anni sono pressoché sovrapponibili per ogni borgata Cilentana e delle altre regioni limitrofe. Alcuni centri scomparvero, la maggioranza subì perdite umane così elevate che solo dopo 100 anni furono recuperate.
La peste a Sacco arrivò verso la fine di giugno del 1656. Non c'è documento che attesti l'inizio della epidemia, se non un richiamo di fine giugno, che interessa la parrocchia di Ognissanti di Laurino; grazie a questo documento si accetta come data di inizio del contagio nell'alta valle del Calore il primo luglio del 1656.
Le misure di salvaguardia emanate per regio decreto comprendevano la bruciatura degli indumenti e la quarantena dei forestieri nel lazzaretto, che a Sacco sorgeva (e sorge ancora, anche se radicalmente distrutto dalla ricostruzione del terremoto) in contrada S. Giovanni. Se il forestiero non ammalava, dopo 40 giorni si ammetteva nel paese.
A Sacco queste norme di squisita validità igienicoepidemiologica non furono osservate. Del resto è menzione che in un solo comune furono eseguite al puntiglio grazie alla meticolosità di un funzionario zelante quale si rivelò Gian Cola del Mercato di Perdifumo. A Perdifumo per la perspicacia del funzionario delegato dal locale feudatario si ebbero solo 78 morti, pari al 9% della popolazione. Nella maggioranza dei borghi cilentani la mortalità fu del 60% e in pochi addirittura del 100%. A Sacco fu la fine. Il censimento del 1648 conta 935 abitanti, mentre quello ricognitivo del 1669 appena 290. Morirono più di 600 persone, pari al 60% della popolazione. La vecchia chiesa non poteva contenere i morti, questi furono sepolti "fora la chiesa"; ancora oggi la via Cimitero e il Crocifisso di via Sottosanti ricordano la pietà dei sepolcri degli appestati, assieme al ritrovamento di ossa umane nel contiguo luogo denominato Gelso (Cieuzo).
Fu una desolazione. Scomparvero intere famiglie. Si visse nella attesa della morte. Ma la peste a Sacco fu l'inizio di uno splendore che mai prima di allora si era visto. Il 2 agosto 1656 accadde qualcosa di straordinario: la mortalità nel paese cessa improvvisamente.
Non vi furono più i 20 morti giornalieri.
Si gridò al miracolo nel giorno in cui ricorreva la festività della Madonna degli Angeli. La tradizione vuole che sulla mano dell'immagine di Nostra Signora degli Angeli comparisse il lividore del bubbone maligno e che questo evento segnasse la fine dell'epidemia.
L'abate Pacichelli, rettore del convento del Carmine di Piaggine, scrisse negli anni successivi alla peste questa testimonianza sul " Picciol castello del Sacco, armato del titolo di contea , si è renduto venerabile pei prodigi dispensati dall'imagine di Nostra Signora nella fiera peste di Napoli, concorrendovi migliaia di fideli da varie parti del Regno, i quali con l'olio della Sua lampada si liberano o preservan da' danni del morbo epidemico”.
Giovan Battista Ferraro da S. Rufo 1'8 settembre 1656 nella lettera al vescovo Tommaso Carafa scrive " ...Il Signor Giovan Battista Bottiglieri da Salerno, mio parente, et anco Servitore de Vs. Ill.ma, riconosce la conservazione della sua salute e casa dal corrente contaggio, l'intercessione della Gloriosa Vergine madre di Dio del Sacco, detta degli Angioli ..... La gratia della salute sua e di sua casa la ricevè dopo l'untione dell'oglio di essa gloriosa Vergine, che mandò a posta a pigliare ...."
La tradizione vuole che ogni anno nel 2 di agosto, in particolare, e anche in altri periodi dell'anno accorrevano a Sacco folle di pellegrini a rendere omaggio alla Vergine degli Angeli. Questo pellegrinaggio fu interrotto sotto l'arcipretura curata di don Dionisio Salomone sul finire del 1800. I pellegrini venivano a sciogliere i voti davanti all'immagine della Madonna degli Angeli per aver ottenuto la guarigione. Si riporta questa notizia unicamente per la testimonianza data alla peste dalla tradizione.
Il dottor Giovan Battista Bottiglieri donò 545 pecore alla cappella della Madonna degli Angeli, queste erano tenute al pascolo in Brienza e di lì furono condotte a Sacco attraverso i pascoli di S. Rufo per interressamento del Signor G. B. Ferraro da S. Rufo.
Non solo questo, perché la Cappella ricevette in dono animali vaccini, monete, monili e vasellame. Nell'ottobre del 1656 si aveva il problema della custodia di tanti averi e regalie. Significativa è la lettera del parroco don Camillo Monaco al vescovo Tomaso Carafa dell'8 ottobre 1656 "Si è fatto l’inventario delli contanti quali sono in mio potere de oro et argento ducati settecento ottanta in circa et tricento sittanta roba de rama ... et anco sono inventariate tutte l'altre cose de oro, cioè cannacche, anelle et scoccaglie et altre cosette de argento et coralli, quali minutamente stando notati a libro. Resta da fare l'inventario dell'altri mobili de lino et sete, quali io non vi ho voluto ponere mano ancora .. , io supplico V.S.I. a farne gratia de non farmici intricare alli negotii della detta Madre Santissima, non perché non averia lo zelo de farlo, ma perché (. .. ) siamo venuti a termine che non possiamo agiutare la ragiuni della chiesa né tanti heredità lasciati sì alla detta Cappella come d'altri legati pii, chè il S. Duca lui se ne impatronisce e dopo gi minaccia (...) lui mi faria levar la vita, gi lo aviso con segillo confessionis.
Da questa lettera trapela l'ansia di don Camillo Monaco, che si vede custode di beni mai prima posseduti, ma più grave è la tracotanza dei feudatari, che proprio in quel periodo cominciarono a sferrare contro la chiesa una accanita guerra per impossessarsi dei beni ecclesiali; la lotta veniva capeggiata da Carlo Calà il potente duca di Diano, presidente del Real Camera del Regno, e seguito dal altri baroni tra cui il duca di Sacco Francesco Villani.
Fino al 1670 è descritto il movimento di compra-vendita dei capi di bestiame donati alla cappella della Madonna degli Angeli, segno delle rendite che la stessa possedeva per effetto delle donazioni. La grande stalla, che sorge in contrada Acera, la Cappella diruta della stessa contrada insieme alle vasche antiche della fontana dell’Acera sono i reperti architettonico-archeologici di quello che fu realizzato per la custodia del bestiame.
La chiesa parrocchiale di Sacco si trovò in breve tempo ad amministrare una immensa ricchezza. Una affluenza senza precedenti di pellegrini invadeva le vie del paese accorrendo da ogni luogo per onorare la Regina degli Angeli. I nostri anziani ancora raccontano episodi risalenti a quel periodo, come quello che vuole la dipartita da un paese di Basilicata di un pellegrino, che veniva ad impetrare la guarigione per i suoi tanti mali; questi sfinito dal viaggio si accasciò esausto nei pressi di una fontana, desolato perché non poteva raggiungere per lo sfinimento mortale la Cappella della Madonna degli Angeli in Sacco. Bevve l’acqua della fonte, affinché questa fosse la sostituzione dell’unzione con l’olio della lampada, chiedendo perdono alla Vergine per l’impossibilità fisica di sciogliere il voto davanti alla Sua immagine. Dopo un sonno profondo l’uomo si svegliò guarito. Aveva bevuto l’acqua alla fonte dell’Acera, di lì raggiunse il paese per cantare le lodi della Madonna.
Nel 1756, dopo cento anni dalla peste feroce, si diede inizio per volontà del clero e del popolo sacchese alla costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale quale segno di riconoscenza alla Vergine Regina degli Angeli. La peste che tanto dolore aveva portato si era tramutata in una occasione di grande rinascita. Si rinvigorì il culto della Vergine, il popolo ritrovò incoraggiamento e guida nella fede. L'opera di ricostruzione fu senza tregua, ogni cittadino contribuì col proprio lavoro e chi non poteva prestare opera donava parte delle proprie sostanze.
Tratta dall’opera “SACCO” del dott. Antonio Donato Macchiarulo.